Le Arti e la peste a Bologna

Le Arti e la peste a Bologna
Il Baldacchino votivo del 1634

 

 

Dal 4 maggio al 6 gennaio 2022 la Raccolta Lercaro esporrà nelle proprie sale il Baldacchino votivo fatto costruire dai cittadini bolognesi al termine della terribile epidemia di peste del 1630 e, dal 1634, utilizzato per le processioni cittadine di ringraziamento alla Vergine del Rosario.

Realizzato in velluto, seta, fili d’oro e d’argento, il prezioso manufatto è composto da una copertura in cangiante seta azzurra trapuntata di stelle dorate e da 4 bandinelle laterali su cui sono ricamati e dipinti, su disegni di scuola reniana, i santi protettori delle singole Corporazioni. Straordinariamente conservato, si presenta come il risultato di un minuziosissimo lavoro di artigianato artistico capace di armonizzare sapientemente padronanza della tecnica e  devozione religiosa.

Nel cuore della seconda primavera segnata dal Coronavirus, quindi, la Raccolta Lercaro vuole offrire al pubblico non solo la fruizione di un capolavoro cittadino, ma anche e soprattutto un’occasione concreta per mettere in rapporto il tempo presente con quello passato e con tutto il suo portato umano e culturale, giunto a noi sotto forma di storia collettiva e tradizioni.

 

«La peste del 1630 scosse la città dalle fondamenta. Alla fine di ottobre si contarono in città più di 20.000 casi su una popolazione residente di circa 60.000 abitanti. Durante i mesi dell’epidemia, soprattutto da maggio a settembre, l’organizzazione sanitaria ed economica della Città vide indiscusso protagonista il cardinale legato Bernardino Spada. Accanto a lui il gesuita Angelo Orimbelli, a capo dei lazzaretti, e gli “assunti di sanità”, un gruppo di nobiluomini che affiancarono il Cardinale nella gestione dell’epidemia. Colpisce ancora oggi e meravigliò i contemporanei l’apertura mentale del legato pontificio che provò a governare l’epidemia con regole moderne che abbiamo ritrovato oggi, nella nostra epidemia dell’anno 2020. Purtroppo, come riconobbero qualche anno dopo anche coloro che si erano mostrati freddi davanti alle scelte sanitarie operate dal Cardinale, gli effetti non si videro come avrebbero potuto perché le regole furono spesso boicottate.

Si dispose per tempo un cordone sanitario intorno alla Città, controllando gli ingressi di persone e merci. Nei lazzaretti si applicarono precise norme igieniche e gli operatori sanitari indossavano guanti, camice e mascherina, che venivano cambiati dopo ogni ingresso al lazzaretto per il trasporto di ammalati. Fatto il servizio e prima di cominciarne un altro, si toglievano i vestiti e indossavano altri camici, altri guanti e altre maschere. Gli abiti indossati venivano esposti all’aria per le successive 24 ore. Gli infermieri – i vituperati “monatti” milanesi – prima di lasciare il servizio, che durava 15 giorni, restavano in quarantena per altrettanto tempo in un’area del lazzaretto a ciò dedicata.

Si potrebbe dire che, dove mancava la prova scientifica del bene operare, subentrava l’osservazione sperimentale. Le disposizioni emanate diventeranno “preziose reliquie, anzi sacrosanti oracoli, per la salute della Posterità saranno le sue regole […]”. Un auspicio in parte immediatamente recepito con le pubblicazioni che seguirono nello stesso 1631, ma poi dimenticate fino al XX secolo, quando riemergono attraverso i lavori di Luigi da Gatteo e Antonio Brighetti.

Il Cardinale e il suo gruppo di lavoro hanno avuto la capacità di superare i dettami della conoscenza vigente e, senza entrare nel merito della discussione teorica, hanno imposto delle nuove regole di comportamento accompagnate da un inusuale stile di vita. Le disposizioni dello Spada, infatti, non si traducono in semplice “grida”, ma diventano norme da doversi osservare e sulle quali il Cardinale vigilerà personalmente. Capolavoro finale di questa attenzione è la prima processione di ringraziamento, svoltasi il 27 dicembre 1630. Il Cardinale, benché non si registrassero più decessi ed i lazzaretti fossero stati chiusi, non voleva abbassare la guardia. La processione, ormai inderogabile, avviene in maniera straordinariamente moderna, diremmo oggi a numero chiuso. La città è rappresentata attraverso rappresentanti di categoria che sono i soli a poter entrare nella chiesa di San Domenico, dove è esposto, per la prima volta, il “pallione del voto” di Guido Reni, appena eseguito e voluto dalla Città.

I cittadini riprendono una vita del tutto normale solo nel febbraio del 1631. Si aprono le botteghe e si riorganizza la vita sociale ed economica. I cittadini, attraverso le Corporazioni, intendono lasciare dei segni duraturi a ricordo dell’epidemia. Lo fanno da subito con il dipinto del Reni e, quattro anni dopo, nel 1634, con una vera festa di ringraziamento. La Vergine del Rosario, a cui si erano rivolti, viene portata in Piazza Maggiore e da qui processionalmente torna in San Domenico sotto un baldacchino appositamente ricamato e donato dalle “Arti” della città. Tutte le forze economiche contribuiscono e sono rappresentate sul baldacchino attraverso i santi protettori ricamati e dipinti sulle bandinelle laterali».

Franco Faranda, Le Arti e la peste a Bologna: il Baldacchino votivo del 1634. Riflessioni ai tempi del Coronavirus, Bologna, Il Mulino, 2021.

 

L’opera, recentemente recuperata grazie all’intervento dei Rotary cittadini e poi tornata nella Basilica di San Domenico, dove è custodita per conto della proprietà (Fondo Edifici di Culto), normalmente non è fruibile dal pubblico.

Oggi, mentre l’epidemia di Coronavirus fatica ad essere debellata, questo “dono” ricorda l’altra grande epidemia, l’impegno della Città e soprattutto la capacità di ripartire dal bello.

 

Si ringraziano:

il Fondo Edifici di Culto, la Soprintendenza competente e il Convento di San Domenico per la disponibilità al prestito;
Manuela Farinelli per i controlli conservativi;
Paolo Dalla per la realizzazione dell’allestimento;
Piera Giglio per il contributo all’allestimento dell’apparato di copertura del Baldacchino.

 

 

 

 

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